Il Carciofo (Cynara cardunculus L. scolymus) è una pianta di origine mediterranea appartenente alla famiglia delle Compositae, molto nota fin dall’antichità per i pregi organolettici del capolino. È originario dei Paesi del Bacino del Mediterraneo orientale, comprese le isole Egee e Cipro, e dell’Africa settentrionale compresa l’Etiopia, dove tuttora crescono spontanee altre specie di Cynara. In generale, il carciofo richiede un clima mite e suffi cientemente umido, per cui il suo ciclo normale è autunno-primaverile nelle condizioni climatiche del bacino mediterraneo, mentre nelle zone più fredde si raccoglie nel periodo estivo.
Tecnica Colturale
L’impianto della carciofaia si può eseguire dall’autunno all’estate (evitando i periodi più freddi) in momenti diversi a seconda del sistema d’impianto che si è scelto. I metodi per avviare la coltura sono i seguenti:
messa a dimora di piantine provviste di pane di terra;
messa a dimora di carducci;
messa a dimora di ovoli;
semina diretta nell’orto.
In un orto familiare si può avviare la coltura di questo ortaggio in modo semplice utilizzando piantine provviste di pane di terra.
Preparazione del terreno – La coltura del carciofo esige un terreno ben lavorato ed abbondantemente concimato con sostanza organica, soprattutto se si tiene conto che è una coltura poliennale, quindi insiste sullo stesso appezzamento per più anni. È un ortaggio che può rimanere nella stessa aiola anche per 5-6 anni e per questo ha bisogno di periodiche cure colturali. Sono sufficienti un’aratura estiva ad almeno 40-50 cm, un abbondante concimazione organica con letame maturo alla dose di 4-6 Kg/mq, o altri concimi organici reperibili sul mercato e una lavorazione finale di affinamento delle zolle. Successivamente si procede con la sistemazione del terreno in aiuole rialzate di 15-20 cm, in modo da favorire il facile sgrondo dell’acqua in eccesso. Nel caso in cui l’acqua in eccesso non defluisca dalle aiole si possono infatti verificare fenomeni di asfissia radicale, ingiallimento delle foglie e conseguente riduzione della produzione Al momento dell’impianto − sia che si tratti di piantine provviste di pane di terra, carducci o di ovoli − occorre rispettare distanze medie di circa 1 metro sia tra le file che sulla fila.
Irrigazione – Per avere buoni risultati nella coltivazione del carciofo è di fondamentale importanza irrigare, in modo da assicurare alle piante una costante umidità del terreno. In linea di massima, nelle aree meridionali e su varietà autunnali (Romanesco e violetto), si interviene con le prime irrigazioni nei mesi estivi (luglio-agosto): tale pratica evita la possibilità che la pianta vada in riposo vegetativo, consentendo un notevole anticipo della produzione. Le irrigazioni possono proseguire poi sino al mese di settembre-ottobre. Sono necessarie frequenti irrigazioni in estate, con un turno medio di 7-8 giorni, ed alcuni interventi in autunno qualora l’andamento climatico sia siccitoso.
Concimazione minerale – Orientativamente si deve considerare che ogni anno, dopo il risveglio vegetativo della carciofaia (primi giorni di agosto), a settembre e poi a febbraio, si somministrano, per pianta o metro quadrato (visto che il sesto d’impianto più frequente prevede una pianta per metro quadrato), le seguenti quantità di concimi minerali:
40- 50 grammi di perfosfato minerale;
20 grammi di solfato di potassio;
8 grammi di nitrato ammonico-26;
Gestione della pianta – Tra le operazione fondamentali si ricorda la sarchiatura del terreno, che consente l’eliminazione delle erbe infestanti, oltre che la rottura della crosta superficiale. Altra operazione normalmente eseguita sulle carciofaie è la dicioccatura che ha lo scopo di eliminare gli steli che hanno prodotto i capolini. Questa pratica si esegue dopo il primo anno dall’impianto, in giugno-luglio, quando le piante sono quasi secche. La dicioccatura consiste nel recidere gli steli circa 4 cm sotto la superficie del terreno, eliminando anche le gemme che si sono formate per ultime al di sotto di essi. Per l’esecuzione di questo lavoro si consiglia l’impiego di una zappa a lama tagliente, poiché gli steli, essendo quasi secchi, oppongono una notevole resistenza al taglio e perché alla base possono presentare un diametro anche superiore ai 5 cm. Alla dicioccatura poi si aggiunge la scarducciatura, che si esegue anch’essa dopo il primo anno dall’impianto e che consiste nell’eliminazione dei carducci (germogli) in eccesso. Si lasciano due-tre carducci per pianta, i più vigorosi, che produrranno capolini grossi e precoci. Il numero di scarducciature annuali dipende dalla varietà, dall’età della pianta e dal numero di carducci lasciati nella precedente scarducciatura. Solitamente si effettuano due scarducciature all’anno: una a fine inverno, da metà febbraio a metà aprile, e l’altra in autunno, da metà settembre a fine ottobre.
Rincalzatura – questa operazione consiste nell’accostare il terreno alla pianta, coprendole in parte in corrispondenza del fusto, per proteggerla dal freddo invernale. Normalmente viene eseguita negli ambienti del nord Italia e non nelle nostre zone.
Raccolta – La raccolta si esegue quando il gambo si è notevolmente allungato e il capolino presenta le brattee ben chiuse ed ha raggiunto le dimensioni tipiche della varietà. Se si ritarda la raccolta si assiste ad un aumento delle dimensioni del capolino, le brattee esterne tendono ad aprirsi e il colore di quelle interne a virare dal giallo paglierino al violetto. Via via che passa il tempo inizia a differenziarsi l’infiorescenza ed il capolino perde di commestibilità. La raccolta si effettua a mano eseguendo sul gambo un taglio a becco di flauto (vedi disegno qui a fianco), asportando i capolini con una porzione di gambo lunga 5-10 cm, accorgimento che permette di aumentare la produzione per pianta, in quanto vengono lasciate tutte le foglie più giovani e attive. In relazione alla varietà il numero delle raccolte varia da un minimo di 3-4 ad un massimo di 10-15; il numero dei capolini prodotti per pianta oscilla da 4-5 a 14-15.
Patologia e Difesa
Il carciofo può essere colpito da avversità di diversa natura. Riportiamo di seguito quelle che ricorrono con maggiore frequenza e sono in grado di arrecare danni di significativa importanza, tali da compromettere il raccolto dei capolini. Tra gli insetti ricordiamo l’afide Brachycaudus cardui ed i lepidotteri depressaria e nottua.
L’afide Brachycaudus cardui infesta foglie e capolini con fitte colonie, che richiamano una nutrita schiera di predatori, rappresentati soprattutto da coccinelle. L’arrivo delle coccinelle però è spesso tardivo, perciò si consiglia di eseguire dei trattamenti preventivi a base di prodotti naturali (piretro, ecc…). La depressaria (Depressaria erinaceella) ha larve che, dopo essersi sviluppate durante l’inverno scavando una galleria nella nervatura principale delle foglie, raggiungono i capolini e penetrano al loro interno divorando i tessuti delle brattee. Per il contenimento delle infestazioni, a partire dai primi giorni di ottobre, in occasione delle nascite larvali, si possono effettuare un paio di interventi, con intervallo di 10-12 giorni, impiegando per esempio prodotti a base di spinosad.
La nottua (Gortyna xanthenes) (vedi foto C a pag. 22) è alquanto temibile nelle regioni meridionali e nelle isole. Le larve dell’unica generazione dell’anno nascono generalmente in gennaio-febbraio e si nutrono delle foglie centrali della pianta, quindi scavano gallerie nelle nervature fogliari, minano lo stelo e raggiungono i capolini, per poi penetrare al loro interno e danneggiarli con le loro erosioni.
Tra le avversità fungine che colpiscono più facilmente il carciofo ricordiamo peronospora e mal bianco. Per la prevenzione e il contenimento di entrambe si consiglia di effettuare periodici trattamenti a base di rame e zolfo, in polvere e in formulazione bagnabile , in modo da garantire sempre una buona copertura della vegetazione.